Il Neo-Risorgimento del vino italiano. Le cose vanno male, però…

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fabio bruno
fabio bruno

Stiamo vivendo un momento d’oro, e voglio esagerare nelle mia enfasi, siamo nel pieno del nuovo risorgimento di tutto il movimento vitivinicolo italiano.

La prima circostanza che mi entusiasma è il gran parlare di vino sui social: sono felice che le persone usino la tastiera e la bocca non solo per le parole ma lascino spazio anche al nettare prelibato.

La passione è letteralmente esplosa e naturalmente (non è una parola casuale) anche i contrasti sono affiorati con veemenza, al punto che sono nati persino degli schieramenti, delle fazioni pro o contro un determinato modo di interpretare il vino.

Le controindicazioni a tutto questo gran chiacchiericcio virtuale sono gli estremismi di coloro che insultano e vaneggiano per partito preso, a confermare che purtroppo gli haters sono ovunque ci sia una discussione.

Però io preferisco questo calderone di parole scritte, che esse siano esatte o strafalcioni indicibili, perché generano comunque un dibattito rispetto al silenzio e riserbo di alcune nicchie di super esperti che se la contano e raccontano solo tra di loro, per fortuna questa élite si sta assottigliando sempre di più appunto perché le persone comuni vogliono capire cosa c’è dietro ad un vino e, per andare incontro a questa domanda, non c’è altro modo che comunicare in modo semplice gli aspetti fondamentali che caratterizzano una bottiglia.

Osservando le community non si può certamente non notare le numerose manifestazioni interamente dedicate al vino, alcune di esse hanno migliaia di visitatori, l’elenco degli eventi enologici che coinvolge tutta Italia è finalmente molto lunga, un interesse generalizzato sfociato anche con l’ enoturismo, un movimento che coinvolge sia turisti stranieri che italiani.

Tralasciando i social c’è un altro elemento più concreto che mi rende ottimista, sono i numerosi premi conquistati dal vino italiano da parte della critica estera.

Le classifiche di Wine Enthusiast e Wine Spectator parlano chiaro, oltre ad aver conquistato il primo posto nelle due graduatorie con il Nizza Cipressi 2015 Chiarlo su Wine Enthusiast e Sassicaia 2015 Tenuta San Guido su Wine Spectator, si sono posizionati altri vini italiani nelle due delle più quotate riviste al mondo che si occupano di vino (19 vini italiani nella top100 2018 di Wine Spectator dei quali 7 nei primi 17  e 9 nei primi 25 [link], 17 vini italiani nella top100 2018 di Wine Enthusiast dei quali 6 nei primi 26 [link] ).

Il continuo incremento delle esportazioni del vino italiano è un dato oggettivo ( fonte: il Sole 24 Ore [link] ), la nostra rincorsa delle vendite all’estero rispetto alla Francia è una sana competizione che ci fa del bene, probabilmente avere nel mirino il nostro storico competitor ha prodotto una strategia generalizzata vincente in tutti i settori della viticoltura, un sistema che inizia evidentemente dagli uffici delle pubbliche relazioni dei produttori italiani. La comunicazione con i clienti è fondamentale.

Ho sempre sostenuto e ribadito in diversi miei articoli su vinoamoremio.it , che la notevole crescita della qualità negli ultimi vent’anni è palesemente sotto i nostri occhi.

Dovrebbe essere il nostro palato ad attestare la migliore ricchezza gusto-olfattiva ma a volte è l’evidenza lampante a certificare le nostre impressioni. Non a caso circa 20 anni fa nei supermercati, nel reparto vini e liquori, c’erano poche bottiglie mischiate a bottiglioni e cartocci di dubbia qualità.

Ora invece ci sono autostrade di scaffali pieni di bottiglie che arrivano da tutta Italia.

Molti vitigni li ho scoperti attraverso la GDO, poco più di 15 anni fa è iniziata la mia curiosità enoica quando guardavo e assaggiavo le diverse bottiglie con nomi di vitigni a me sconosciuti, una passione che poi è proseguita con l’aumentare delle informazioni tecniche a portata di tutti, un’evoluzione dei social network da me benedetta.

Senz’altro rispetto a 20 anni fa, la qualità del vino proposto al supermercato è notevolmente migliorata (ndr), e continuo a ribadirlo, perché molti non vogliono ammettere che nei grandi magazzini non esiste solo il sottoprodotto.

Addirittura è più frequente adocchiaire, fra gli articoli alimentari, dei beni locali prodotti nel raggio di 80 – 100 km dalla struttura nel quale è sito il market, tra questi ci sono vini di nicchia, come ad esempio lo è una tra le tante bottiglie particolari da me scovate alla GDO e recensita in un post sul mio blog [link] .

Trascurando le mie impressioni, la mia argomentazione è supportata dai dati statistici sulle vendite del vino nella GDO italiana, nei quali si denotano gli ottimi risultati nelle vendite pur avendo subito un piccolo calo in quantità di bottiglie vendute nel 2018 ma i ricavi sono stati comunque maggiori, perciò il consumatore medio è sempre più orientato alla buona qualità del prodotto enologico ( fonte: inumeridelvino.it [link] ).

Riporto ancora il grafico del Sole 24 Ore sul valore in Euro delle esportazioni del vino italiano degli ultimi 30 anni ( +575% !! ) paragonato al grafico di una diminuzione della produzione nello stesso periodo confermando così la miglior qualità del vino nostrano [link]

Un piccolo appunto lo vorrei dedicare al nostro sistema delle denominazioni che evidentemente funziona nella complessa architettura normativa italiana ed ha contribuito ai buoni risultati di cui sopra descritti.

Con le D.O.C. il consumatore medio ha un primo riferimento al quale aggrapparsi per orientarsi alla qualità del vino (ndr).

Se non ci fossero le denominazioni ci sarebbe una indefinibile giungla sconfinata dove chiunque può fare veramente ciò che vuole con due filari allevati sul balcone di casa e venderlo come vino Docg.  

Certamente esistono grosse falle in tante Doc e nei rispettivi disciplinari ai quali bisogna senz’altro porre rimedio, però il fatto che c’è ancora tanto da migliorare mi rende ancora più ottimista.

Dagli anni ‘50 fino agli anni ‘80 la superficie vitata italiana era molto più grande, però era diffusa la scarsa qualità, infatti si producevano in massa i vini da taglio oppure vini sfusi scadenti per le tavole italiane, una produzione quasi paragonata ad una bibita dal largo consumo a basso grado alcolico, sempliciotto e beverino ( tranne che in questo specifico contesto, gli ultimi due termini per me non sono affatto negativi). Altrettanto era più elevato il consumo pro-capite ma oltre al vino, come bevanda da pasto, esisteva solo l’acqua, nemmeno la birra era usuale, mentre oggi il vino ha molti concorrenti da affrontare.

Mi auguro comunque di vedere un aumento dei consumi del vino, spero che i giovani imparino che è stata per molti secoli la bevanda del popolo, che attraverso la cultura del vino è più facile bere con responsabilità rispetto ai superalcolici, un argomento affrontato in un mio articolo ( Scuola di vite [link] ) che si riferisce ad una proposta per effettuare degli incontri nelle scuole medie superiori, con l’intento di informare i ragazzi quanto sia importante nella nostra storia occidentale la bevanda degli Dei, per poi completare l’informativa con l’educazione al bere responsabilmente.

Il mio paragone di questi ultimi 20 – 30 anni della viticoltura italiana si riferisce ovviamente al Risorgimento ottocentesco, quando il processo dell’unificazione politica dell’Italia è stato l’impulso per portare alla ribalta l’economia dei vari regni italiani, partendo dal Regno di Sardegna ed in particolare con il Piemonte dove si realizzò la più grande rete ferroviaria della penisola, iniziarono i rapporti commerciali esteri con l’esportazione delle merci e si costruirono una fitta rete di canali di irrigazione nei campi coltivati, ed in questo contesto, come per molti prodotti agricoli e industriali, anche il vino italiano iniziò il suo percorso verso la sua affermazione partendo dalla stupenda vicenda di Camillo Benso conte di Cavour con il Barolo.

Mi chiedo dunque quale sia stato il motore di questa grande ripresa.

Nella storia degli ultimi 150 anni della viticoltura italiana ci sono stati momenti molto difficili, partendo dall’anno zero della strage dei vigneti causati dalla fillossera a fine dell 1800 (intorno al 1880), le due guerre mondiali, ed esattamente un secolo dopo la fillossera ci fu lo scandalo metanolo nel 1986; da quest’ultima data si cambiò rotta, grazie ad un controllo più serio e capillare imposto del ministero della salute.

Iniziò una nuova consapevolezza sulle grandi risorse del territorio vitivinicolo italiano, in primo luogo l’aver capito che il delimitare le numerose aree d’eccellenza, proteggendole con le denominazioni, sarebbe stata la carta vincente per produrre un vino di qualità passando attraverso ai disciplinari che misero i paletti per eseguire una buona conduzione della vigna.  Col trascorrere degli anni i produttori di vino hanno imparato a separare le vigne per vitigni, utilizzare nuove tecniche per la conduzione della vigna, adoperare l’intensità di’impianto, praticare il diradamento, limitare le rese per ettaro, individuare i Cru, seguire le norme igieniche in cantina, studiare e approfondire la materia enologica.

Cos’altro mi spinge ad affermare che siamo nel pieno Neo-Risorgimento italiano del vino?

I viticoltori. 

Nonostante le mille difficoltà che devono affrontare gli agricoltori per continuare nella loro attività dignitosamente (questo è comunque un problema per qualsiasi italiano che voglia aprire e gestire una qualsiasi impresa, un esempio è l’articolo del Corriere della Sera [link] ), ovvero la burocrazia, i costi, le norme che cambiano in continuazione, i permessi e per giunta ci si deve affidare alla buona sorte nella speranza di un’annata buona per un raccolto normale, ed ancora il cambiamento climatico è un ulteriore problema da fronteggiare, nonostante tutto ciò le cantine italiane continuano a crederci.

Piccoli e piccolissime aziende che si stanno facendo un nome, creano un brand attraverso la serietà, la competenza, la tenacia. Uno stesso percorso che è stato intrapreso a suo tempo dalle grandi cantine che sono blasonate da diversi anni, le stesse che sembravano inarrivabili.

Analizzando ancora i dati del valore delle vigne italiane dal 2000 ad oggi, il valore medio è cresciuto in 17 anni del 53% circa ( fonte: inumeridelvino.it [link] ).

Significa semplicemente che si sta producendo bene, riqualificando territori, magari sono in calo alcune realtà come ad esempio tutta la produzione della Docg Asti, al contempo però stanno emergendo nuove realtà, penso ai territori dell’Etna ad esempio, oppure i passi da gigante delle Marche e della Puglia, purtroppo però sempre uno sviluppo a macchia d’olio come capitò nel Risorgimento ottocentesco.

In quest’ondata di rinnovamento alcune cantine hanno sperimentato tipologie di vino poco considerate, ad esempio i vini rifermentati in bottiglia, oppure la rivalutazione del vino rosa o ancora la ricerca di uve adatte al metodo classico (chi l’avrebbe mai detto che con il Durello si potesse produrre un ottimo metodo classico oppure con il Carricante).

Questo è il movimento del “buon vino” che ha contagiato tutta Italia.

Molti piccoli produttori hanno realizzato un fantastico lavoro di ricerca facendo risorgere alcuni vitigni minori o rari, nonostante fosse più facile impiantare nuovi vigneti con uve dal profitto più sicuro.

Il neo-Risorgimento della viticoltura italiana passa anche attraverso la riscoperta di vitigni dimenticati, come ad esempio è la Nascetta, ma questa è un’altra storia, una realtà che sarà argomentata nel mio prossimo articolo “Nascetta, rinascita di un vitigno” [link].

fabio bruno

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