Scheletro nell’armadio

Autore :       Fabio Bruno

A dire la verità non mi aspettavo molto da questa bottiglia. Le recensioni che avevo sbirciato sul web non promettevano molto bene, ricordavo comunque che l’annata 2004 di Brunello di Montalcino non era poi così male ( http://www.consorziobrunellodimontalcino.it/index.php?p=25&lg=it ). Ciò che scaturiva il mio dubbio era la consapevolezza di una cattiva conservazione della bottiglia. Per i primi 5 o 6 anni dall’acquisto il suo posto è stato in un astuccio dentro ad un armadio di casa mia, dimenticata lì a subire tutti gli sbalzi di temperatura stagionali. Non ricordavo dove l’avessi comprata, ma rammentavo bene che erano gli anni nei quali avevo cominciato ad approcciarmi al vino in modo più ragionato. All’epoca, il Brunello è stato sicuramente uno dei miei primi acquisti “ importanti ”, prima di allora bevevo solo e soltanto vino a buon prezzo che acquistava mio padre.

Se la bottiglia era stipata nell’armadio, stava a significare che, in quel periodo della mia vita, non ero ancora ben informato sulla buona conservazione del vino, oppure, non ero così attento da trattarla a dovere.

Il giorno che ho ritrovato il Brunello di Montalcino La Poderina 2004, risale al 2012-13 e l’ho preso subito in cura nella mia cantina. L’unico dato che mi confortava era il fatto che nell’armadio la bottiglia ha trascorso il periodo al buio e sdraiata, di conseguenza il tappo inumidito non si sarebbe dovuto seccare non facendo passare quantità eccessive del nemico numero uno del vino : l’ossigeno. Anche l’assenza della luce ha ridotto sicuramente la degradazione del contenuto della bottiglia, d’altro canto, però,  gli sbalzi di temperatura hanno compromesso il processo di evoluzione del vino. Di queste conoscenze ne ero già provvisto ( ora mi sovviene ! ) ma le ho disattese ugualmente.

Riepilogando, la bottiglia ha trascorso più o meno 5 anni segregata in armadio e altrettanti anni li ha passati in cantina. Ho pensato che più di questo tempo il vino non potesse sopportare, anzi, visto le circostanze dei primi anni ero abbastanza sicuro di ritrovarmi un vino intorpidito.

Arrivato quindi al dunque, era il tempo di berla. Il primo accorgimento è stata la forza che ho dovuto impiegare nell’estrarre il tappo, esso era perfettamente aderente al collo della bottiglia tanto da avvertirne un forte atrito. In effetti il tappo di sughero era perfettamente integro e soprattutto non presentava odori sgradevoli. Successivamente, la bottiglia l’ho dimenticata ( un’altra volta.. volutamente però ) per un’ora abbondante, per farla “ respirare “. Nel calice si presentava di un colore rosso rubino tendente al granato piuttosto impenetrabile. I profumi erano tipici del vitigno Sangiovese Grosso, frutti rossi e confetture degli stessi come ciliegia e more, una nota vanigliata non invasiva e piacevole, sentori eterei appena accennati mischiati ad una percezione di alcool un pochino pungente.

In bocca era avvolgente e caldo e non si percepiva la grande alcolicità che invece faceva presagire al naso, i tannini erano morbidi ma che incominciavano a scomparire. Nel complesso l’ho trovato maturo in fase calante, tutto sommato piacevole. Piacevolezza che è stata raddoppiata dall’essermi stupito di quanto ha tenuto duro questo Brunello nonostante le vicende descritte precedentemente. Dando per scontata la buona fattura e l’ottima annata del prodotto, ho pensato che una grande parte del buon risultato era dovuta dalla performance del tappo. Per fortuna ( e ultimamente di fato si deve parlare : sono un simpatizzante convinto dell’hashtag #iostoconloscrewcap ), il tappo di sughero non era difettoso, contribuendo così a non degradare il contenuto della bottiglia.

Il vino è fatto per accompagnare il cibo, perciò mi sono armato di un piatto di formaggi per godere veramente di un vino che bevuto senza delle pietanze, sarebbe stato soltanto più che discreto ( mi riferisco alla mia bottiglia ).

 

Ad ogni formaggio l’abbinamento risultava più o meno azzeccato :

partendo dalla Toma poco stagionata, il Brunello la scavalcava in  automaticità e persistenza con un triplo carpiato in avanti;

il Bra Tenero DOP non ne reggeva il confronto;

migliore è stato l’accostamento col taleggio a pasta cruda di consistenza molle ( il ché mi ha fatto pensare ad una buona acidità del vino e di altrettanta alcolicità, dopotutto presentava vol. 14% );

il formaggio di capra semistagionato a pasta semidura era ben assortito in aromaticità e poco in persistenza;

finalmente ho trovato l’abbinamento quasi perfetto con la Tuma dla Paja ( toma della paglia, chiamato così perché matura in mezzo alla paglia ) di pasta morbida, la quale si è fusa in bocca bilanciando tutte le sensazioni saporifere e tattili del Brunello di Montalcino;

l’ultimo formaggio era un pecorino a pasta dura granulosa che prelicava la struttura del vino.

 

Per la precisione, tutti i formaggi sono stati comprati al supermercato confermando ancora una volta che nella GDO esistono degli articoli, compreso il vino, di buona qualità, e talvolta, anche prodotti tipici locali.

Questa vicenda, in sostanza, mi ha confermato che tutti quanti abbiamo un Brunello nell’armadio.

 

    Fabio Bruno

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