Bevi Enrico Serafino e, poche chiacchiere, i fatti stanno a Zero. Avanti Alta Langa! Una denominazione con le spalle larghe

Autore :

  Fabio Bruno

Da anni sento parlare bene dello spumante di Enrico Serafino ma per ignoti motivi ho avuto l’occasione di berlo solo poche settimane fa.

Attribuisco al fato questa mia poca attenzione allo spumante Alta Langa pur essendo nato nella medesima nazione, anzi, nella stessa regione a pochi chilometri dal luogo di produzione, e questo fatto mi fa riflettere non poco.

Penso di aver bevuto i Metodo Classico piemontesi troppe poche volte, raramente durante le festività, perciò sono arrivato alla conclusione che la mia mancanza non è dovuta soltanto alla mia distrazione.

Caspita! Vivo qui in Piemonte e si trova un Alta Langa sugli scaffali dei negozi col lumicino, anche negli esercizi specializzati sono proposti uno o due etichette, al massimo tre ma è già un’eccezione, consola il fatto che a tenere in alto la spumantistica piemontese è l’Asti onnipresente, almeno questo, in tutti i negozi specialmente nel periodo natalizio.

Certamente sono due mondi completamente diversi l’ Alta Langa e l’ Asti spumante.

Nel primo caso si tratta di Metodo Classico, nel secondo di metodo Martinotti o Charmat.

I concorrenti del Moscato d’Asti sono in prima battuta i vini dolci frizzanti e spumantizzati, in questo settore l’Asti è il leader incontrastato grazie ad una grande organizzazione e una campagna comunicativa che negli anni passati ha fatto breccia in tanti palati di tutto il mondo.

Il movimento del Moscato ha saputo valorizzare le caratteristiche uniche di questo vino spumantizzato o frizzante, un vino che si presta bene nella occasioni di festa accompagnato da dolciumi vari, in particolare con pasticceria fresca alla panna come ho ben esposto in questo mio articolo [link]

Dal glorioso passato e dal calo di vendite degli ultimi anni del Moscato D’asti si potrebbero trarre degli spunti guardando alle cantine produttrici (in primis Gancia che è il brand di riferimento per lo spumante dolce), per migliorare la reputazione dell’Alta Langa.

Gli altri concorrenti dell’Asti sono tutti gli Charmat Brut o Dry (ricordo un tempo nel quale si andava in qualunque bar di Torino e si chiedeva al banco : “uno Chardonnay”, ti veniva immediatamente servito qualsiasi cosa di secco che avesse le bollicine) ed in particolare il Prosecco.

Asti e Prosecco sono vini che non dovrebbero essere confrontati per via delle caratteristiche fra loro opposte (uno dolce l’altro secco) ma il mercato, e quindi i consumatori, li accomunano per la stessa tipologia, ovvero spumante Charmat, e per la stessa fascia di prezzo nella quale si collocano.

Addirittura tutti gli spumanti nel mercato globale vengono confrontati con milioni di bottiglie vendute di Champagne, vedasi l’improbabile confronto tra Prosecco ed il famoso spumante francese, un altro argomento che è stato affrontato sul mio blog [link].   

La docg Asti è in una fase di declino ma eroga pur sempre milioni di bottiglie e sta cercando nuovi sbocchi come il tentativo dell’Asti Secco, anche se, a mio avviso, aldilà del livello qualitativo, non è una trovata di marketing felice quella di posizionarsi in competizione col Prosecco, generando peraltro confusione al consumatore, il quale ha un’idea precisa della docg astigiana, così tanto che l’acquirente è consapevole dell’identità univoca di vino Moscato dolce.

Ribadisco, secondo me il consumatore riconosce la denominazione Asti come il vino spumante dolce per eccellenza, perciò si dovrebbe continuare ad invogliare la gente a comprare e bere il vino dolce, e non incentivarlo a consumare vino secco spumantizzato (Charmat), in pratica così facendo non si fa altro che ribadire lo strapotere del Prosecco.

Spero un giorno (il più lontano possibile) di non vedere lo stesso esperimento tentato dall’Asti da parte del consorzio Prosecco generando per assurdo un Prosecco Dolce per recuperare, dopo tanti anni passati sulla breccia dell’onda, un fisiologico calo di vendite, sarebbe insensato, No?

I concorrenti dell’ Alta Langa sono tutti i Metodo Classico in circolazione capitanati in Italia dal Franciacorta ed ovviamente il competitore per antonomasia è lo Champagne che, come precedentemente accennato, è il punto di confronto sul mercato per qualsiasi spumante esista al mondo.

Ora invito a fare una riflessione,

se si dovesse andare in giro per l’Italia (ma anche solo in Piemonte) a chiedere al consumatore medio il primo nome di un produttore docg Alta Langa che a loro verrebbe in mente, cosa risponderebbero?

Probabilmente non saprebbero che rispondere: “non conosco questo vino”.

Se invece si chiedesse loro di un Franciacorta?

Ovviamente il primo in assoluto che verrebbe citato è Berlucchi;

Di uno Champagne?

Sicuramente Dom Perignon;

e di un Trento?

È immediato Ferrari.

di un Alta Langa?

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Per avere un’idea sui produttori rimando al Consorzio Alta Langa con le principali aziende che producono l’eccellente Metodo Classico.

C’è una grossa fetta di mercato da coprire per un brand che si identifichi con la docg in questione, una cantina che faccia da traino per avvicinarsi perlomeno ai numeri del Trento.  

E’ confortante il risultato raggiunto nel 2018 [link], con 1.300.000 bottiglie prodotte, segno che ci credono in molti, è di buon auspicio per fare il tifo e raggiungere grandi traguardi.

Mi è capitato più volte di assistere al grande consenso di chi beve per la prima volta un Alta Langa.

Il livello medio dell’Alta Langa è sicuramente alto, non a caso il disciplinare indica 30 mesi come minimo periodo di affinamento.

30 mesi! Solo millesimi!

In quanti lo sanno?

Eccole le spalle larghe per farsi spazio nel complesso mondo spumantistico.  

Direi che urlare a squarciagola nelle varie campagne pubblicitarie anche solo questo dato “di Base 30 mesi” porterebbe dei benefici, chi è attento al mondo del vino non potrebbe  fare a meno di notare il confronto con il minimo periodo di affinamento di un Franciacorta (18 mesi), di un Trento (15 mesi), di uno Champagne (15 mesi).

Il consumatore non ha modo di confondersi – il messaggio è chiaro – di fronte ad un Alta Langa si ha come minimo un Millesimato d’Alta qualità, non c’è spazio in questa docg per una linea di prodotto scadente.

Mi si potrebbe obiettare che non sia automatica la buona riuscita di un Metodo Classico garantendo 30 mesi di affinamento.

Ebbene, concordo!

Perciò, la prossima volta, invece di acquistare un Metodo Classico Trento, Franciacorta o uno Champagne che si aggira intorno a 16 – 20 euro si provi invece ad acquistare per la medesima cifra un Alta Langa, così da poter valutare oggettivamente.

I prezzi sono estremamente concorrenziali, come nel caso del 60 mesi Pas Dosè Rizzi (da quest’anno ufficialmente docg Alta Langa) che ho avuto modo di parlarne un anno fa [Link], oppure dalla bottiglia ritratta in fotografia dalla quale ho preso spunto per scrivere questo articolo, il millesimo Zero 2010.  

Zero di Enrico Serafino passa molto tempo sui lieviti, 60 mesi.

Un Brut Nature o dosaggio zero composto da 85% Pinot Nero e 15% Chardonnay.  

Alla vista si presenta bene con un bel colore giallo paglierino con riflessi dorati ed una bolla abbastanza fine e persistente, profumi complessi agrumati e frutta esotica, note di pasticceria e speziate.

Al palato è piacevolissimo, molto ben bilanciato tra morbidezza e una buona vena acida, la sapidità e il finale persistente lo rende corposo, complesso, armonico.

La sua struttura e complessità gli permette di affrontare un pasto completo, in particolare col pesce.

Ho colto l’occasione di berlo con la cucina giapponese, l’abbinamento più soddisfacente è stato con il carpaccio di tonno.

In poche parole, senza perdersi nell’analisi tecnica, Zero è un vino di ottimo livello, chi è abituato a bere Metodo Classico non può non apprezzarne l’ottima fattura e la piacevole finezza.

Come mia consuetudine sottolineo l’eccellente qualità/prezzo :

25 – 26 euro per un Alta Langa Zero di 60 mesi ben spesi.

Che possa essere la Enrico Serafino il brand che faccia da traino per l’Alta Langa? Me lo auguro, soprattutto dopo la cessione della cantina alla holding statunitense Krause Holdings Inc, forse potrebbero esserci delle possibilità in collaborazione con il vecchio proprietario unico Campari il quale detiene ancora delle quote della cantina.

Fabio Bruno

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