Azienda Agricola Mirù, L’Alto Piemonte che si fa sentire

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fabio bruno
fabio bruno

Guardate il suo sorriso, è il sorriso responsabile di un giovane uomo di 36 anni (30 anni fa alla sua età si veniva giustamente considerati degli uomini, ora giovani, chissà perché) che ha preso le redini dell’azienda di famiglia e riversa su di essa tutta la sua passione per il suo vino e per il suo territorio, Ghemme, Gattinara e più in generale l’Alto Piemonte.

Ho visitato la sua impresa, l’Azienda Agricola Mirù, ho avuto modo di fare con lui una chiacchierata molto costruttiva a 360 gradi bevendo i suoi vini.

Il giovane uomo ritratto in foto si chiama Marco Arlunno, un enologo che prima della conduzione familiare aveva già fondato una società nel 2007 con Carlo Cambieri, Il Chiosso.

Spesso gli addetti ai lavori del mondo enologico parlano del territorio da preservare, del vino territoriale da prediligere e Marco è uno di quelli che fa sul serio, non solo a parole, infatti si divide nelle realtà delle due sponde del fiume Sesia, Ghemme e Gattinara, non solo, con il Chiosso produce anche il Fara, altra Doc dalle grandi potenzialità di invecchiamento ed infine produce altri vini sotto la denominazione “Colli Novaresi”.

Il suo impegno è attivo anche a livello “politico”, è Socio dei Vignaioli Piemontesi con sede a Castagnito (CN), Socio dell’ Assoenologi sezione Piemonte Valle d’Aosta e Presidente della sezione di Vitivinicoltura Confagricoltura Novara.

Non posso dire nient’altro che Marco Arlunno sarà il futuro e una delle risorse dell’ Alto Piemonte.

Lo dicono anche i suoi vini, la Vespolina, l’Uva Rara e il Nebbiolo che da queste parti è il Re di un Regno che si espande fino alla Valtellina ma è completamente differente dal Regno della Langa, diversi sono i suoli, le colline, il panorama e naturalmente i vini.

La nostra conversazione si è estesa a tutto l’Alto Piemonte, alla necessità di uscire da un guscio che per alcuni aspetti lo si riesce a rompere all’estero. Mi parla appunto della competenza di alcuni importatori esteri che ne sanno più loro dei nostri critici su Fara, Boca, Sizzano, Ghemme, Gattinara, Lissona, Bramaterra, Valli Ossolane, Colline Novaresi, Coste della Sesia.

Per molti queste sono denominazioni totalmente sconosciute ma hanno una storia antica, proprio per il fatto che sono rimasti ai margini dal grande flusso mediatico mantengono una tradizione, una vitivinicoltura non incline alla modernità.

Ora è il momento di far riemergere l’Alto Piemonte proprio come è riemerso il Supervulcano Valsesia, da una scoperta recente si è capito che circa 60 milioni di anni fa lo scontro fra i due continenti Europa e Africa permisero la formazione delle Alpi e ci fu in corrispondenza della Valsesia un rovesciamento della crosta terrestre portando in superficie un antico vulcano che esplose circa 300 milioni di anni fa. Si possono così osservare dei materiali che generalmente stanno 25 km sotto i nostri piedi, la zona difatti viene visitata e studiata da geologi e vulcanologi di tutto il mondo (fonte: http://www.supervulcano.it/supervulcano.html ).

Con queste condizioni uniche al mondo nascono dei vini rari, unici e dal rapporto qualità/prezzo Eccellente.

Supervulcano Valsesia”, con questo nome ci farei una denominazione che raggruppa almeno la parte destra del Sesia, ma io ho sempre avuto una fervida immaginazione romantica, magari è troppo “sensazionalistico” ma è la verità riemersa.

Marco mi ha rivelato che in concreto si sta effettivamente lavorando per un’unica Doc “Alto Piemonte” che comprenderebbero tutte le Doc menzionate precedentemente escludendo le due punte di diamante Docg Ghemme e Gattinara, un progetto arduo e in fase di elaborazione.

Proseguendo nella chiacchierata, ho capito la sua competenza di Vignaiolo, lui è laureato in enologia e fa i suoi vini con una visione ben precisa, la sua azienda adotta la tecnica della ‘Lotta Guidata ed Integrata’ rispettando così la naturalità delle uve e dell’ambiente circostante (cit.) . 

Ha una cura in tutti i dettagli del processo di vinificazione e affinamento, ad esempio sceglie e ordina le botti dopo aver accuratamente selezionato quelle con doghe curvate a fuoco o a vapore per adoperarle secondo il risultato che vuole ottenere, cioè l’esaltazione delle caratteristiche del vitigno nato nella sua vigna.

Più volte nel descrivere i suoi vini sono emerse le parole vegetale, mineralità e freschezza. Un segno distintivo della cantina Mirù la quale non fa altro che risaltare la diversità del nebbiolo nato nel terreno morenico-alluvionale di Ghemme rispetto ai terreni che donano note più fruttate e opulenti (nell’accezione positiva del termine) del nebbiolo langarolo.

Il suo Ghemme non conosce la botte nuova, solo botti vecchie grandi fino a 32 hl. di capienza, perciò il sentore del legno si percepisce lievemente.

Mi ha parlato delle varie annate, quelle buone e quelle disastrose dove ha declassato il suo Ghemme, senza la menzione vigna, oppure della serietà nel fare la Riserva soltanto se le condizioni lo permettono, l’ultimo Ghemme Riserva è del 2015 che a breve imbottiglieranno ma l’annata precedente risale al 2004!

Mi permetto di sottolineare nuovamente che la serietà non è solo una parola campata in aria, dalla mia esperienza ho capito che sarebbe molto facile fare un produzione sempre uguale, dallo stesso numero di bottiglie, fare una Riserva quasi tutti gli anni, uscire ogni anno con il vino di punta anche se il Cru non ha raggiunto i parametri necessari per definirlo un prodotto d’alta qualità.

Mirù è proprietaria di 10 ettari e vinifica esclusivamente le proprie uve con una produzione che varia da 35 a 40 mila bottiglie, coltiva prevalentemente Nebbiolo, Uva Rara, Vespolina, Erbaluce.

Nei vigneti più giovani -zona ‘Carelle’- allevano la vite con alte densità d’impianto a Guyot semplice, mentre nei più vecchi -‘Cavenago’ e ‘Rossini’- si privilegia il Guyot doppio (cit).

Il Cru Cavenago è un impianto con sole uve Nebbiolo di varietà Spanna e una porzione di Vespolina.

La cantina crede molto nell’Uva Rara e nella Vespolina tanto da vinificarle in purezza in solo acciaio ed inoltre la Vespolina sarà il vitigno del prossimo impianto della nuova vigna in progetto.

Descrivo tre vini significativi dell’azienda e, come al mio solito, senza dilungarmi sulle note olfattive anche perché, assorto dai racconti di Marco, mi sono dimenticato di prendere appunti sulle rispettive bottiglie.

Uva Rara 2016 Doc Colli Novaresi, Azienda Agricola Mirù

Un in Vino in purezza di Uva Rara è difficile da trovare ma loro credono in questo vitigno usato da tutti solo come uva da taglio per donare più morbidezza al vino. Vinificato in solo acciaio ed è uno dei vini più floreali della cantina, ha un colore rosso rubino, sentori di frutti rossi come ciliegia marasca che evolvono in confetture e note speziate, piuttosto tannico smorzato però dall’acidità, un vino da tutto pasto con la caratteristica mineralità di questi luoghi, attenzione al finale, rispetto alla tipologia di vino da buona beva ha una persistenza lunga e non amaricante. In poche parole, struttura e bevibilità e grado alcolico non elevato 12,5%vol.

Nebbiolo 2017 Doc Colli Novaresi, Azienda Agricola Mirù

Nebbiolo 100% in solo acciaio per un anno, rosso rubino abbastanza trasparente, al naso i fiori appassiti sono i sentori principali insieme a note vegetali, sono tratti distintivi del nebbiolo dell’Alto Piemonte, in bocca si sente un tannino ancora galoppante che il tempo avrà modo di affinare, sicuramente ha davanti ancora 6-7 anni buoni, è equilibrato ed ha un buon finale lungo, godibile fin da subito. Mi è piaciuto molto il suo non essere pomposo ma è lineare discreto e al contempo vigoroso. Si accompagna bene con i pasti soprattutto a base di carni rosse,  grigliate e formaggi medio-stagionati/stagionati. Alcol non eccessivo 13%vol.

Ghemme Docg “Vigna Cavenago” 2011, Azienda Agricola Mirù

Il Cru Cavenago, il vino di punta dell’azienda Mirù. E’ composto da Nebbiolo di sola varietà Spanna 85% e Vespolina 15%. Affinamento in botti vecchie per 48 mesi, tipico colore rosso rubino poco pigmentato tendente al granato, profumi che si aprono piano piano nel tempo, sentori vegetali e terziari spadroneggiano come la liquirizia e la nota balsamica, tannino dolce ma che poi ti sorprende dopo due o tre secondi perché torna a farsi sentire, un vino sottile, fine, verticale, rustico con tanti anni davanti. Lunga persistenza, ad ogni sorso un gusto nuovo e sembra dirti “ e non è finita qui ! ” 12,5%vol.

fabio bruno

This article has 2 comments

  1. Marco Arlunno

    Grazie Fabio Bruno della tua visita e del tempo che ci hai dedicato.
    Spero di rivederti presto e complimenti sinceri per il tuo modo di scrivere e raccontare sensazioni, assaggi , impressioni … Oltre che territorio e prodotti;)

  2. admin

    Grazie mille Marco per i complimenti, tutto merito dei tuoi vini e dei tuoi racconti sul tuo territorio.. Ci vediamo presto!

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